Il rapporto della Commissione UE del 2020

Secondo il rapporto recentemente pubblicato dalla Commissione UE nel 2020, basato sui dati forniti alla Commissione UE dagli Stati membri, nel periodo 2015-2018, un totale di 37 ordini di protezione europei (OPE) sono stati emessi nell’UE; di questi, solo 15 sono stati riconosciuti ed eseguiti. La stragrande maggioranza degli OPE è stata emessa da un solo Stato membro, con altri 2 Stati membri che rappresentano il resto degli OPE emessi. Nessun OPE é stato emesso o riconosciuto ed eseguito in 10 Stati membri.

In sintesi, il rapporto della Commissione UE rivela chiaramente, nei 5 anni successivi al recepimento della direttiva OPE, il sottoutilizzo e la mancanza di applicazione dell’OPE in tutta l’UE.

Progetto Artemis: Relazione finale di ricerca

Come parte del progetto Artemis, i partner hanno prodotto una relazione finale di ricerca con un’analisi comparativa di tutti i risultati dei rapporti nazionali sull’attuazione degli OPE nei paesi partner. La relazione finale evidenzia alcuni elementi comuni tra i paesi partner:

    • I dati disponibili sull’emissione di OPE sono limitati, poiché in nessuno dei paesi partner esistono registri ufficiali che registrino il numero di OPE;

    • Nonostante la mancanza di dati, un numero molto basso di OPE è stato rilasciato o riconosciuto nei paesi partner, con solo 2 OPE riconosciuti in Croazia e 1 OPE rilasciato in Italia;

    • Nessuna formazione in materia di OPE è stata fornita ai professionisti legali o ad altri professionisti che potrebbero entrare in contatto con le vittime bisognose di protezione; e

    • Non ci sono state campagne di sensibilizzazione a livello nazionale sull’OPE rivolte al pubblico in generale in nessuno dei paesi partner.

Un’istantanea dell’indagine Artemis

  • Secondo i risultati dell’indagine condotta sui cittadini dell’UE, su un totale di 2.881 intervistati, 745 hanno riferito di aver subito qualche forma di violenza o abuso (25,8%); ciò equivale a 1 su 4 nei cinque paesi partner. Di questi intervistati, solo 171 (23%) avevano richiesto una qualche forma di Ordine di Protezione (OP) nel contesto della violenza di genere, e di questi, poco più della metà (90) sono stati concessi.
  • Sia i professionisti legali che i rappresentanti delle ONG considerano gli ordini di protezione largamente inefficaci e inadeguati in generale. La maggior parte dei professionisti legali ha una percezione negativa degli OP messi a disposizione delle vittime; meno del 25% in Croazia, Cipro e Italia ritiene che gli OP siano efficaci.
  • La stragrande maggioranza delle ONG intervistate nei paesi partner ha anche riportato che gli OP non sono adeguatamente applicati: solo il 15% delle ONG intervistate a Cipro ha risposto che gli OP per le vittime di violenza sono efficaci, il 20,8% in Grecia, il 23% nella Repubblica Ceca e in Italia, e solo il 4,6% in Croazia.
  • C’è una generale mancanza di consapevolezza tra le donne vittime di violenza di genere sui loro diritti alla protezione e all’accesso alla giustizia. Secondo i risultati dell’indagine, le vittime ritengono che questa mancanza di consapevolezza sia una barriera significativa all’accesso agli OP. Allo stesso modo, la stragrande maggioranza delle ONG intervistate nei paesi partner del progetto (82,5%) ha convenuto che la mancanza di consapevolezza tra le vittime impedisce l’accesso agli OP.
  • La formazione e le campagne di sensibilizzazione in materia di OPE sarebbero davvero utili per l’attuazione degli stessi. Questo punto è supportato dai risultati dell’indagine, con il 95% dei professionisti legali e l’80% dei professionisti delle ONG a dichiarare di poter trarre beneficio da programmi di sensibilizzazione e di formazione specializzata in materia di OPE.

Quali sono le lacune che portano al sottoutilizzo di un OPE nei paesi partner?

La relazione finale di ricerca rivela delle lacune nei quadri legislativi nazionali che regolano l’emissione di ordini di protezione nazionali, che costituiscono la base per l’emissione di un OPE. C’è una copertura disomogenea delle vittime di tutte le forme di violenza di genere, con conseguenti lacune nella protezione; per esempio, a Cipro, in Croazia e in Grecia gli ordini di protezione sono principalmente disponibili nel quadro ristretto della violenza domestica o della violenza in famiglia, che impone condizioni come la convivenza, la condivisione della casa familiare e dei figli.

Un’altra importante constatazione della relazione è che i fattori che limitano l’efficacia degli ordini di protezione nazionali costituiscono anche un ostacolo all’efficacia dell’OPE: l’inadeguata raccolta di dati sugli ordini di protezione nazionali spiega la mancanza di raccolta di dati sugli OPE; allo stesso modo, l’assenza di meccanismi di monitoraggio per gli ordini di protezione nazionali riflette la mancanza di monitoraggio degli OPE. La relazione ha anche rilevato che in tutti i paesi partner del progetto, l’uso degli ordini di protezione nei casi di violenza di genere è basso in relazione alla corrispondente prevalenza della violenza di genere. Lo scarso utilizzo degli ordini di protezione nazionali si traduce in un basso utilizzo dell’EPO: questo è aggravato da una generale mancanza di consapevolezza tra le donne vittime di violenza di genere sui loro diritti alla protezione e sull’ accesso alla giustizia.

Cosa si può fare?

Come punto di partenza, la raccolta dei dati dovrebbe essere migliorata sia a livello nazionale che a livello di UE: Gli Stati membri dovrebbero istituire un sistema centralizzato di raccolta dati che registri il numero di ordini di protezione e di OPE emessi e/o ricevuti da altri Stati membri; questo sistema dovrebbe anche includere dati sulle violazioni degli ordini di protezione e degli OPE, così come le sanzioni imposte.

Bisognerebbe sviluppare un quadro concettuale comune a livello europeo per identificare e definire i vari tipi di violenza di genere che possono fornire la base per l’emissione di ordini di protezione e di OPE, con una chiara prospettiva di genere: questo colmerà le lacune individuate nei quadri giuridici nazionali che limitano l’uso degli ordini di protezione e, per estensione, degli OPE.

Gli Stati membri dovrebbero incorporare la Direttiva OPE, così come il regolamento e la Direttiva sui diritti delle vittime, nelle loro strategie nazionali e nei loro piani d’azione per combattere la violenza di genere: è necessario considerare attentamente l’applicazione pratica di queste misure nel contesto nazionale.

Inoltre, gli Stati membri dovrebbero condurre campagne nazionali di sensibilizzazione sull’OPE per aumentare la consapevolezza dei cittadini dell’UE: il diritto a un OPE dovrebbe essere incluso nel materiale di sensibilizzazione esistente sulla violenza di genere e sui diritti delle vittime pubblicato dalla polizia e da altre autorità, e reso disponibile alle vittime in maniera capillare

Allo stesso modo, gli Stati membri dovrebbero condurre corsi strutturati, attività di formazione e informazione per i professionisti legali e delle ONG che forniscono consulenza e assistenza alle donne vittime di violenza e abusi.